Di carta e di luce: inizia cosi…..

Non avevo mai avuto una valigia prima di mettermi in strada con Eleanor Rigby.
L’avevo sempre ritenuto un modo barbarico di viaggiare.
L’unico possibile, sostiene invece lei, se si punta a una destinazione fatta di materia.
La mia amica non si è ancora affrancata da fantasmi geomorfi. Né da forme antiquate di nomadismo tra solidi.
Una settimana prima mi aveva inviato una busta (quel sistema preistorico di cavalcare distanze) con tanto di leccata di bollo, timbri… insomma, l’arredamento tradizionale.
Dentro, una carta geografica del secolo scorso che sentiva di rancido.
“Accompagnami nel vecchio mondo” diceva un biglietto senza cerimonie.
Solo allora avevo capito che intendeva deragliarmi in quell’insano graffito d’asfalto.

Da qualche tempo molte strade sono morte.
Più che scomparse, sono tramontate. Lasciando, al loro posto, cadenti spoglie di asfalto. E di odeporiche reminiscenze.
Sono le rughe di quei territori trascurati che abbiamo preso a chiamare “vecchio mondo”. Scavo d’anni e d’espressione su terre che tanti hanno imparato a dimenticare. E che altri non hanno mai conosciuto.
Quelli che ancora hanno l’abitudine di attraversarle in maniera tradizionale lo fanno spesso per necessità, più raramente per puro godimento.
Noi, invece, avevamo deciso di partire alla ricerca di Anton Zaifa. Spinti da un motivo che, così a prima vista, non presentava caratteri d’urgenza né di piacere.
Demo Flores, mio riluttante compagno di viaggio, sapeva molto del vecchio mondo. Ma non ne aveva mai avuto esperienza.
Era più o meno lo stesso problema che avevamo con Zaifa.
Possedevamo un universo d’informazioni. E non una verità.

 

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